Un Guscio Delicato

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  1. Alexander Stregatto Magnus
     
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    Stava in piedi, di fronte alle possenti porte del tempio, i meravigliosi ornamenti ellenici raffiguranti aggraziati corpi femminili che si protendevano verso l'arcata principale servivano a rendere ancora di più l'idea che quello fosse un tempio dedicato ad una qualche divinità della fertilità o della buona sorte, ma per il soldato non cambiava nulla: per lui, che dagli dei non aveva ricevuto nulla se non una grinta ed una potenza fisica pari a quelle di un semidio, o così lui diceva in giro, quelle non erano altro che raffigurazioni di possibili schiave che, se fossero state di pari bellezza e formosità di quelle statue, lo avrebbero reso l'uomo più felice di tutta la Grecia.
    Leandro di Olympia, primo capitano di ventura di una manciata di uomini che, sotto il comando del signore di Olympia Nereo, erano presto diventati famosi per tutto il Peloponneso come il gruppo di soldati più feroci e terrificanti mai, tanto da risultare persino odiosi da dover ingaggiare dallo stesso re ma, purtroppo, le loro doti e qualità erano ben note a tutti ed essi erano tra i migliori mercenari in circolazione. Accadde però, circa qualche giorno prima degli eventi narrati qui, che all'interno del gruppo di Leandro ci fu una disputa, uno screzio che si tramutò velocemente in un duello tra Leandro ed un suo sottoposto, giovane ed inesperto ma bramoso di gloria e potere; Leandro lo disarmò con facilità ma, sottovalutandolo, si lasciò scoperto e venne colpito in pieno viso da una torcia che il giovane stava utilizzando come arma di fortuna: gli ci vollero dieci lunghi giorni perchè riacquistasse la vista, giorni in cui fece immediatamente uccidere il ragazzo e accettò l'idea che, anche se avesse riacquistato la vista, il suo volto sarebbe stato sfigurato per sempre; dal naso fino alla fronte la sua carne era diventata di un color rosso acceso, spellato, la carne sotto ancora pulsante, una ferita incurabile! Da allora Leandro cominciò a girare con una mezza maschera, completamente bianca, che lasciava intravedere i suoi occhi color nocciola, carichi di odio verso il mondo intero e privi di qualsiasi genere di pietà.
    Ora, mentre spingeva con forza le porte del tempio ed entrava al suo interno, l'unica cosa che occupava la sua mente era l'idea di prendere la più bella delle giovani, farla sua e così ristabilire la sua totale ed indiscussa posizione di comandante nel suo gruppo; sbuffò di fastidio mentre vedeva correre verso la navata principale alcune ancelle, muovendosi a passi lunghi e decisi verso di loro, la sua lorica lorda del sangue dei guerrieri che le avevano difese, il gladio ancora stretto in mano mentre con l'altra teneva il fodero legato alla vita, quasi a volersi ricordare che prima o poi avrebbe dovuto rinfoderare la sua arma se avesse voluto avere una presa più salda sui fianchi del suo bottino. Una decina di giovani donne, tutte vestite di un insieme di veli rosa purpureo, con ognuna un piccolo gioiello ad ornare o le caviglie oppure le dita dei piedi nudi, lo sguardo di ognuna di loro trasudava terrore puro e, da alcune di loro, uno sguardo che avrebbe dovuto smuovere a pietà la bestia che si avvicinava a loro; ma la bestia in questione sorrise, denudando i denti come se fossero altre lame pronte a strappare quei leggeri vestiti ed affondare nella carne di ognuna di loro, un lupo feroce che vestiva da uomo civilizzato. Leandro rinfoderò la spada e si apprestò a muovere una mano verso una dolce dagli occhi ambrati e la pelle color carbone, una vera bellezza barbara e ci sarebbe anche riuscito, se un piccolo colpo sulla mano tesa non lo fece indietreggiare e voltare con la testa verso la fonte di tal colpo: un'altra ragazza, giovane come le altre ma dai lineamenti del viso leggermente più maturi, le dolci guance lasciavano spazio ad un paio di carnose labbra color sangue che risaltavano maggiormente con il candido pallore della sua pelle, mentre gli occhi verdi come giada si incontrarono con quelli di Leandro, il quale rimase piacevolmente sorpreso nel constatare che, nonostante avesse ai suoi piedi una decina di ancelle che sembravano tutte ninfe, solo ella che si ergeva dinanzi a lui sembrava una vera semidea, la figlia di Venere!
    “Fa di me ciò che vuoi” iniziò con voce tremolante la ragazza, portandosi le mani sul petto di lei, in mezzo al seno di una giovane che si stava ancora formando ma che, nonostante l'età, era già praticamente maturo per poter essere assaggiato “Fa di me ciò che vuoi, ma non far loro del male”continuò, questa volta alzando leggermente la voce, quasi a voler dar forza a sé stessa “Chiunque tu sia, sappi che di fronte a te ora cè Kelufo, sacerdotessa e tramite diretto con-”“Tu sei decisamente quella giusta” disse Leandro, la sua voce bassa e rauca come quella di un corvo perfettamente contrapposta a quella da dolce cerbiatta di Kelufo “N-non posso venire con te, posso essere tua qui, ora, se vuoi ma se mi allontanerò dal tempio porterò a te soltanto sventura e non sarò mai più Kelufo” provò a dir la giovane, con un tono quasi amorevole, avvicinandosi a lui ed accarezzandogli il braccio sinistro, quasi a voler essere un'amante amorevole che cerca di dissuadere il suo uomo a prendere una decisione avventata, ma l'unica cosa che ottenne fu un manrovescio che la mandò distesa a terra, il labbro rotto lasciò cadere alcune gocce di sangue sul velo di lei, mentre Leandro abbassò la stessa mano con la quale la aveva colpita per prenderle i capelli e tirarla su a forza, costringendola a guardarlo negli occhi “Tu chiedi troppo donna, ringrazia la tua dea” la cui statua era stata appena notata da Leandro, troppo concentrato sulle servitrici mortali per contemplare la solenne e, quasi austera, bellezza di quella strana divinità, vestita di niente che una strana catena che le si attorcigliava attorno alle mani, quest'ultime tenevano in mano un collare da buoi in ferro battuto “Ringraziala che non usi la sua stessa catena e giogo per trascinarti nel mio campo, sicchè i miei uomini possano vederti meglio!” rispose tagliando corto e trascinandola verso l'uscita del tempio, a forza e per i lunghi capelli corvini.
    “Tu non sai quello che fai! Pazzo! Io sono-” tentò di replicare Kelufo mentre le prime lacrime le solcavano il dolce viso, ma prontamente Leandro, con un altro colpo della sua mano libera, la zittì “Tu sarai la mia concubina oppure la puttana del campo, a te la scelta Kelufo!” sentenziò gracchiando una tetra risata che echeggiò nel tempio. Mentre la gettò fuori dal tempio, con un calcio come si usa con gli animali che si vuole scacciare, Leandro già si pregustava gli sguardi di ammirazione dei suoi uomini, nonché la notte di passione che lo avrebbe atteso con quella donna; non gli importava se non era più perfetta come prima, d'altronde lui era famoso proprio per questo: nessuna donna aveva passato una notte con lui ed era uscita dal suo letto senza aver subito percosse oppure essere tornata a casa senza avere il volto tumefatto, cosa che Leandro si premuniva di fare già da prima che il suo volto venisse sfigurato. “Avanti! Alzati e cammina con le tue gambe, o per Zeus ti farò strisciare fino al campo!” Gridò Leandro mentre le si avvicinava ma, improvvisamente, Kelufo si mise in piedi di scatto, voltando il volto leggermente verso di lui: i suoi occhi erano gli stessi ma il suo sguardo era cambiato, uno sguardo fermo, deciso, quasi di sfida che mandò Leandro quasi nel panico: era la stessa donna di qualche momento fa? Perchè quello sguardo? Sembrava di fissare le Parche dritte nelle loro orbite vuote! Il terrore fu talmente improvviso che Leandro non si accorse di aver istintivamente sguainato la sua spada e di averla puntata contro Kelufo “Non tentare mosse azzardate ragazza, o giuro ti sventro e torno dentro dalle tue amiche, parola mia” disse con fare nervoso Leandro; Kelufo abbassò lo sguardo sulla spada, poi di nuovo verso Leandro e, con uno sguardo che era un misto di disgusto e sufficienza, si voltò e si incamminò verso ovest, oltre la cinta muraria, dove c'era l'accampamento dell'esercito nemico e quello di Leandro, il quale ora le camminava dietro, un passo più lento ed attento e la mano sinistra sull'elsa della spada.

    Quando rimasero soli nella sua tenda, Leandro cercò di scacciare i brividi lungo la schiena che lo stavano facendo tentennare di fronte a Kelufo; una volta arrivati nel campo, quella mattina, egli aveva prontamente messo in mostra la sacerdotessa ai suoi uomini, i quali non poterono fare altro che applaudire e chiamare a gran nome il loro capitano, mentre quest'ultimo si pasciava della gloria che i suoi stessi commilitoni gli stavano fornendo ma, tuttavia, Kelufo pareva distaccata, completamente cambiata da quando la aveva strappata al tempio della città: se prima sembrava una tenera cerbiatta dalle carni morbide, ora aveva il portamento di una regina amazzone, una guerriera che aveva perso una battaglia ma non la dignità, nonostante le sue carni ora sembrassero agli occhi di tutti ancor più languide e provocanti. Ciononostante, quel suo sguardo gelido aveva ammosciato qualsiasi tipo di gesto audace degli uomini di Leandro ed anche di Leandro stesso e, mentre le servitrici del generale la prendevano in custodia per prepararla per la notte, Leandro chiese in giro delucidazioni su dove fosse finito il loro generale, il re di Olympia “Sta trattando ora la resa con il loro re” gli rispose Glauco, il suo fidato amico e compagno di ventura “Resa? Ma abbiamo vinto su tutta la linea!” chiese Leandro confuso mentre Glauco, con un'alzata di spalle replicò semplicemente “Ne so quanto te: forse non vuole avere sul groppone il peso di troppi cadaveri e gli chiederà di rinunciare al suo trono per avere la città salva, anche se”disse ridacchiando “Dopo la tua bravata dubito che Nereo riuscirà a guardare in faccia il loro re senza doversi inventare una scusa sul fatto che tu abbia violentato la loro sacerdotessa nel loro tempio”“Primo, non l'ho neanche sfiorata mentre eravamo nel tempio, mi sono tenuto il bello per stasera, non sono mica un barbaro sai?” disse con la sua gracchiante risatina “Secondo, se il problema è tutto qua basta farla sparire no? Quella troietta non farà in tempo a rialzarsi dopo che l'avrò ripassata per bene che la sbatto giù dalla rupe e tanti cari saluti ai problemi diplomatici”“Mmmh sarà, io non andrei così tranquillo amico mio; quella aveva il Cocito negli occhi, sembrava Caronte personificato per portar via con se nell'Ade chiunque la provasse a sfiorare!” replicò Glauco masticando un filo d'erba mentre Leandro rideva sonoramente al suo commento e gli dava un'amichevole pacca sulla spalla “Tutta scena amico! Dovevi vederla nel tempio! Un gatta avrebbe fatto meno fusa di lei e credimi”disse mentre lo salutava per avviarsi alla sua tenda “stanotte la farò urlare! Quindi vedi di non venire a disturbarmi, anzi, che nessuno venga vicino alla mia tenda stanotte! Offrigli un soldo in più se non stanno capiti” “Come desideri mio capitano! Vai ed abbatti il formoso nocchiero!” concluse Glauco con una grassa risata.
    Ma ora, di fronte alla schiena nuda di lei, mentre ne osservava le curve e le natiche sode che chiedevano, imploravano, di essere afferrate e strizzate con forza, un dubbio si insinuava nella mente di Leandro; per tutta la giornata non l'aveva vista e, dopo la chiacchierata con Glauco, era sicuro di essere pronto a far vedere a quella ragazzetta chi era Leandro di Olympia ma, quando la vide nella tenda spogliarsi e guardarlo con lo stesso sguardo di quella mattina, di nuovo sentì il cuore fermarsi: che fosse un segno? Forse la ragazza era davvero il tramite per quella strana divinità barbara ed ora stava per attuare la sua tremenda vendetta? Avvicinandosi ed accarezzandole il braccio sinistro, Leandro si ritrovò ad essere scostato, anche in malomodo, da Kelufo; questo fece cadere ogni apparente dubbio ed insicurezza in lui, risvegliando in lui il coraggio che aveva sempre avuto di fronte a delle donne nude; con un gesto ormai frutto dell'abitudine la girò e la colpì con un destro ben assestato sullo zigomo destro, mandandola a terra, per poi sollevarla per il collo con entrambe le mani, cominciando lentamente a strangolarla, mentre il suo membro cominciava lentamente a svegliarsi per l'eccitazione “Ora tu mi appartieni, vedi di ficcartelo in quella tua testa vuota, sacerdotessa dei miei coglio-” un colpo di ginocchio di lei nel plesso solare lo fece piegare, il fiato tolto quel tanto che bastava perchè un sinistro di lei lo mandasse steso a terra; Leandro ebbe appena il tempo di mettersi sui gomiti che il piede sinistro nudo di lei premesse sul petto, mandandolo di nuovo disteso a terra “Che cosa?!” cercò di gridare confuso Leandro ma Kelufo rispose per lui, una voce profonda, sensuale ma al tempo stesso sinistra e foriera di disgrazie come se provenisse dall'Averno stesso “Mi hai tolto le parole di bocca...mortale!”.

    Il delicato piede percorse la breve distanza tra i pettorali lanuginosi e la gola con velocità inaspettata, per poi pesare come il maglio di un fabbro sul pomo d’Adamo del comandante, riducendolo a poco più che una pezza d’uomo gorgogliante e confusa.
    Malgrado la concitazione del momento avrebbe dovuto richiamare all’ordine il tipico atteggiamento marziale del fiero Leandro, eppure -con suo parziale disappunto ed il resto del proprio spettro emotivo occupato da un bizzarro senso di… appagamento?- la contemplazione dal basso di quelle torreggianti cosce d’avorio, lucide e coronate da un giardino d’ebano rugiadoso, gl’insinuò in capo l’idea che fosse giusto lasciarsi pestare in quella maniera. Che quello fosse il suo giusto posto.
    “M-ma tu...cosa”provò a chiedere, annaspando appena in quella stretta così morbida ed al tempo stesso imperiosa, la sua erezione ormai più che evidente “Io sono Kelufo, o meglio, colei che la riempie in questo momento ma di questo tu non devi preoccuparti, dato che in fondo non ti sei mai curato minimamente del tuo prossimo, farlo ora sarebbe quantomeno ipocrita da parte tua non credi Leandro?” disse con voce pacata e secca la donna che sovrastava il comandante, ora passando l'altro piede sulla pulsante erezione, facendo uscire dei sordi gemiti dalla bocca di Leandro “Ma guardati, il tuo nome ti descrive alla perfezione” disse quella con un sorrisetto di pura soddisfazione, mentre schiacciava con la pianta del piede il tronco del suo pene, insieme alle palle, facendogli uscire dei rantoli di dolore e piacere al tempo stesso “Ed ora” sentenziò mentre una lunga catena sembrò comparirle al braccio sinistro, serpeggiando attorno ad esso, e nelle mani un pesante collare di ferro “Fino a domani mattina tu non esisterai, ma non ti crucciare, sarò IO che mi prenderò cura di te” e finendo la frase tolse il piede lesta dal collo di Leandro, per poi aprire il collare e richiuderlo attorno al collo di Leandro, il quale provò immediatamente ad alzarsi ed a chiamare aiuto, ma si ritrovò tirato indietro, cadendo rovinosamente a terra, il suo viso a fissare di nuovo quello della donna, in una prospettiva che aveva sempre usato con altri, sia donne che uomini: loro dal basso e lui in piedi, per lui tutti cani che teneva stretti al guinzaglio.
    Sedendosi su una piccola cassapanca di legno, dentro cui Leandro era solito tenere gli indumenti delle donne con cui aveva speso più di una notte, la donna che sembrava Kelufo allargò le gambe, lasciando scoperto il sesso giovane praticamente illibato “Lecca” non disse altro, semplicemente tirò a se Leandro,costringendolo a gattonare fino a lei, il collo ed il viso proteso verso il monte di Venere. Leandro si ritrovò a chiedersi perchè gli stava succedendo tutto questo? Anzi perchè stava permettendo a quella ragazzina di trattarlo così? Sollevò il viso, cercando gli occhi di lei in segno di sfida ma quando li trovò si pentì subito della sua idea: negli occhi di Kelufo non c'era altro che il nulla, due pozzi cerulei che lo costringevano a guardare dentro sé stesso e questo lo spaventò a tal punto da ritrarre immediatamente lo sguardo, cercando di concentrarsi unicamente so ciò che aveva davanti; questo fece sorridere l'entità dentro Kelufo, la quale mosse la mano libera verso il capo di Leandro e lo costrinse contro il proprio sesso, la bocca di Leandro immediatamente occupata dalle grandi labbra carnose e soffici della giovane, mentre quest'ultima si concentrava a tenere con una mano il guinzaglio e, con l'altra, di muovere su e giù la testa di lui, lasciando che dapprima le sue labbra e poi la lingua, ricoprissero completamente la sua figa di saliva ed umore “Esatto, così, bravo Cane” disse lei con una risata mentre gli concesse il lusso di sentire qualche piccolo gemito fuoriuscirle dalle labbra, poco prima di rilasciare il suo piacere, inondandolo completamente e, ciononostante, forzandogli il viso contro di esso; Leandro dal canto suo non poteva fare a meno di provare piacere in tutto questo, la sua pulsante erezione ne era una prova, anche quando aveva rischiato di soffocare a causa dell'orgasmo che le aveva procurato dato che, nonostante egli fosse effettivamente un uomo forte e robusto, nulla poté contro quelle delicate mani che però sembravano tenere dentro di sé la forza di Efesto in persona.
    Dopo essersi assicurata che la avesse ripulita per bene, Kelufo spinse via con un calcio, di malomodo, Leandro e, mentre la catena con cui lo teneva legato a sé sembrava dividersi in un altro paio, come se fossero teste di Idra che nascessero da alcuni degli anelli di ferro, una di queste si mosse subito ad incatenare i polsi del capitano dietro la sua schiena, l'altra ad attorcigliarsi attorno alla base del pene, stringendo pian piano di modo che Leandro ad un certo punto dovette dire “C-Così me lo farai scoppiare! P-pietà!” “Pietà?” chiese lei con tono stupito, mentre si metteva comodamente seduta sul petto di lui, lasciando scorrere il suo pene nel varco tra le sue natiche, strusciandolo in mezzo ad esse, così dolci e soffici ed in un modo così lento e terribilmente invitante, che fece strappare un grido a Leandro, un grido misto a disappunto e disperazione “Shhh taci Cane” riprese lei mettendogli una mano sulla bocca, di nuovo costringendolo a mugugnare mentre con gli occhi tentava di esprimere tutto il suo più sincero sconforto. Lei alzò appena il bacino e si lasciò scivolare il pene dentro, Leandro inarcò appena la schiena, prima che i fianchi ed il culo di lei cominciassero a muoversi a ritmo sostenuto, su e giù, un ritmo da galoppo, come se fosse in sella ad un cavallo e dovesse consegnare un messaggio di vitale importanza. Leandro mugugno, ringhiò, gemette ma la mano di Kelufo continuava ad impedirgli di esprimere vocalmente alcunchè, finchè, sentendosi ormai prossimo ad eiaculare, rilassò il bacino e lo sollevò appena, pronto a riempire Kelufo del suo seme; fu allora che la giovane si fermò, rimanendo ancora impalata dalla verga ormai gonfia di piacere, apparentemente per nulla affaticata da quella cavalcata che ormai stava andando avanti da una mezz'ora buona: si abbassò su di lui e gli accarezzò con la mano libera la parte del viso bruciata “Quindi è per questo che non hai pietà?” chiese e per un attimo a Leandro parve che gli occhi le fossero ritornati normali “...Che motivo stupido e puerile” sentenziò poi Kelufo con la stessa voce di prima, con un tono quasi derisorio “Tu che non hai conosciuto pietà e non ne hai mostrata per nessuno, nemmeno per il mio araldo, assaggerai fino a domani, al canto del gallo, cosa significa non avere alcuna pietà, d'ora in avanti non sarai più un Cane, sarei solo un mero oggetto!” e dicendo così ricominciò a cavalcarlo, gli occhi di Leandro che guizzavano a destra ed a sinistra, mugugnando “pietà” ogni volta che poteva, dato che per quanto egli volesse liberarsi sia delle catene che di quella tremenda agonia di eccessivo piacere, non riusciva a fare né l'una né l'altra cosa, entrambe bloccate da quelle infernali catene.
    Il mattino dopo, Glauco si avvicinò alla tenda di Leandro: per tutta notte non aveva fatto altro che sentire la giovane sacerdotessa gemere e, sicuro di conoscere bene il suo comandante, aveva dato ordini ed elargito monete a sufficienza da essere sicuro che nessuno li avrebbe disturbati; tuttavia, ora che il gallo aveva cantato e che quei due avevano letteralmente tenuto sveglio tutto il campo per tutta notte, il sentire il silenzio improvviso dalla tenda di Leandro aveva messo in guardia Glauco; quasi sobbalzò quando vide il suo comandante uscire dalla tenda, nudo e fresco come una pomo d'oro dal giardino delle Esperidi “Sia maledetto! Ci avete tenuti svegli tutta notte, ed ora quasi mi fai andare all'altro mondo per la paura!” Leandro ridacchiò e gli pose una mano sulla spalla “Perdonami amico mio ma sai”aggiunse con una strizzatina d'occhio “La cavalla non si è stancata fino ad adesso” disse indicando dentro la tenda; dentro Kelufo era riversa a terra, un sorriso stanco e lo sguardo perso, gli occhi color nocciola che vagavano lungo tutta la tenda, le gambe aperte mentre dal suo sesso fuoriusciva ancora molto sperma, con lividi lungo tutte le cosce “Che macello! Se Nereo lo venisse a sapere-”“A proposito di questo, dove si trova? Sta tornando indietro dal colloquio con il re Carcino?” Glauco, preso in contropiede annuì distrattamente “Eh? Ah sì sì, sta arrivando proprio ora al centro dell'accampamento...ma scusa tu come sapevi il nome del re?” “Oh credimi Glauco” rispose Leandro, i suoi due occhi cerulei che lo fissavano di rimando “Ieri notte mi sono fatto dire molte cose da quella “casta ed illibata” sacerdotessa; se mi fai parlare con Nereo, ti assicuro tripla paga per te e per tutti” “Tu menti! Cosa può averti detto di così importante?” “Beh cosa posso dirti? A volte persino degli oggetti così belli hanno una loro utilità, all'infuori dell'essere usati no?” e dopo aver dato una pacca sulla spalla a Glauco, con una sonora e grassa risata si avviò verso il centro dell'accampamento, mentre da dentro la tenda, la ragazza sussurrò appena “L-la aspetterò qui.....mia signora”.

    Se siete arrivati fino a qui, un grazie per la pazienza ed anche un grazie per aver voluto seguire questa mia piccola follia letteraria fino alla fine!
    Se vorrete continuerò a scrivere ed a postare altri racconti, nel mentre buona lettura a tutti!
     
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0 replies since 10/9/2018, 15:44   385 views
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