Lo Spaventapasseri pt.1

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  1. LineaAlloStudio
     
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    Le labbra della ragazza distesa sul divano guizzavano come pesciolini boccheggianti spiaggiati tra il naso minuto e il mento ed allo stesso modo reagivano le sue palpebre: stava sognando, non c'erano dubbi.
    Il farmaco stava facendo un lavoro egregio sul suo cervello in preda all'incoscienza e Jonathan Crane non si era mai allontanato, deciso ad evitare il rischio di perdersi qualcosa: aveva passato ore ad annotare ogni singola reazione e valutare regolarmente i parametri vitali della sua volontaria -oh, che diavolo! Basta con le gentilezze di facciata: la sua cavia- con un fervore ed un'entusiasta perizia piuttosto inusuali per l'altrimenti apatico e scontroso studente. In quel momento, avrebbe accompagnato quella definizione ad un'altra parola: prodigio.
    Un dannato prodigio della biochimica e biologia molecolare, il burattinaio delle reazioni umane, ecco cos'era! Quella ne era la dimostrazione lampante!
    La sua tipica pacatezza aveva ceduto il passo ad una frenesia crescente, tanto da tendergli le labbra sottili sul viso ossuto in un ghigno di trionfo e compiacimento. Dovevano essere ormai passate quindici ore da quando avevano dato avvio all'esperimento, ma non si sentiva affatto stanco. Forse avrebbe potuto rivalutare i suoi generali sentimenti di misantropia nati da anni di soprusi in quasi ogni campo: ogni minuto che passava faceva crescere in lui l'adorazione per la sua cavia umana.
    Forse… avrebbe potuto metterli da parte soltanto per lei?
    Per quanto la sua mente fosse brillante a detta di alcuni, Clara non era altro che una ragazza qualsiasi, insipida e bovinamente operosa: l'unica nota di sapore che aveva potuto gustare, osservandola durante i periodi di veglia e vita quotidiana, era una tensione quasi onnipresente che la studentessa tendeva ad esorcizzare attraverso un'ironia tagliente, un'indole generalmente amichevole e, ultimo ma non meno importante, un soffocante altruismo che avrebbe potuto rasentare l'ossessività, non fosse stato per un buon grado di educazione che la portava a rispettare lo spazio vitale altrui e non persistere quando comprendeva che quell’aiuto era fuori luogo.
    Ma ora… era qualcosa di semplicemente spettacolare agli occhi di Jonathan.
    La giovane era semplicemente incapace di nascondergli alcunché, era un vero e proprio bastone da rabdomante per captare le irregolarità del corpo e della mente: ad ogni sussulto involontario corrispondeva un nuovo battito, aggiunto alla frequenza cardiaca con la sapienza di un complesso di percussioni nelle mani degli artisti della Filarmonica, non c’erano buoni sentimenti nei confronti degli altri a mascherare le vere reazioni che albergavano dietro a quel cipiglio inquieto.
    Crane trovava il tutto fin troppo divertente ed appetibile, teso su di un perverso limite tra l'ilarità e il godimento, ma non poteva farne a meno… ogni sussulto di quel corpo gli apriva nuove porte al sogno in cui lei era inconsapevolmente persa. Pareva di osservare da sotto il pelo dell'acqua un naufrago in procinto di annegare, ad ogni flutto che la sospingeva più a fondo e si faceva strada a forza nella sua gola corrispondevano un brivido, un fremito, uno scarto delle membra. Il cuore del ragazzo traboccava di compiacimento come la coppa di un ubriaco, lui stesso si sentiva ubriaco, frenetico ed eccitato, nonostante la situazione non paresse altro che un’estenuante attesa ad un occhio esterno.
    Ad un certo punto si trovò costretto a mettere da parte il taccuino e la penna, adagiati sul bordo del tavolino da caffè spostato di modo che non fosse d’intralcio ad eventuali movimenti del genio o della cavia, solo per allentare la stretta della camicia sul petto smilzo ed accaldato, slacciando i primi bottoni ed esponendo il pallore teso sulla cassa toracica. Si era ritrovato a sudare e respirare affannosamente quasi all’improvviso e l’idea che fosse proprio la frenesia indotta dalle reazioni della ragazza a ridurlo in quelle condizioni gli spanse un sapore dolce-amaro sulla lingua.
    Ci si sente così da innamorati? Così fosse stato, Jonathan avrebbe finalmente trovato la risoluzione all’annoso dubbio: amava il proprio lavoro, amava i risultati ottenuti, amava il proprio genio.
    E amava il terrore che animava e finalmente rendeva bellissima quella scialba femmina.

    Gli ci volle poco per ritrovarsi improvvisamente addossato a quel corpo carnoso e tremante, appena umido di sudore freddo e adrenalina. Le dita scarne di Jonathan affondarono come artigli in quelle guance color latte come la violenta parodia di una carezza, per poi saggiare la tensione dei nervi del collo e la durezza della clavicola. Le sue mani erano come turisti impertinenti intenti a godersi una scampagnata in montagna e mostravano solo il minimo riguardo per l’integrità di quel paesaggio, impegnati com’erano a sguazzare da una vista all’altra, da una sensazione all’altra. Prima morbido come pascoli soffici e ricchi d’erba smeraldina, poi teso e ripido come tante massi lungo una collina ed infine l’affilato pendio roccioso di un erto versante, affacciato su di una nuova valle. In un ciclo inarrestabile, le palme sudate dello studente cercarono una nuova morbidezza e non impiegarono molto a trovarla, carpirla, adorarla.
    Sotto di lui, una nuova reazione da registrare: messa all’angolo da un terrore strisciante e poi costretta a subire un nuovo irruento stimolo, la cavia dischiuse le labbra all’improvviso in un singulto, evidentemente soffocato dal peso dell’anestesia e le sue braccia furono scosse da un lungo fremito, un disperato tentativo di muoversi e rispondere a quel tocco sgarbato.
    La reazione basilare, combattere o correre.
    E l’inconscia realizzazione che nessuna delle due era attuabile le strappò dalle membra la risposta più intensa, tragica e meravigliosa che Crane potesse immaginare: poco più che un guaito, seguito da un calore crepitante appena sotto la superficie della pelle. La trasfigurazione della paura, l’atavico orrore che segue il disagio di ogni donna costretta a vivere tra uomini, priva dell’autonomia sul proprio corpo.
    Quasi poteva odorarlo, quell’orrore. Dio benedetto, gli faceva venire l’acquolina in bocca.
    Un moto di vergogna lo scosse nello scoprirsi a leccarsi le labbra come un magro lupo affamato di fronte a tutto quel ben di Dio, ma non durò molto. Malgrado l’educazione rigidamente religiosa e puritana che la vecchia bisnonna gli aveva impartito fin dalla nascita si fosse tradotta in terrore prima, repulsione poi verso qualsiasi forma di fisicità, Jonathan non trovò freni ad impedirgli di assalire ulteriormente la sua cavia, prima inspirando profondamente l’effluvio della sua paura, affondando il naso affilato nella clavicola della ragazza come in un calice ricolmo di vino ed infine assaporandola con un lento moto della lingua.
    La presa degli artigli sui seni coperti di cotone si fece a tal punto stretta da strapparle un altro gemito addolorato e traboccante panico, mentre la lingua si ritraeva per un attimo tra le labbra, arricciandosi contro l’arcata palatale e scoppiettando dell’adrenalina che traspirava dai pori della giovane terrorizzata. Se la gustò a lungo, un ghigno a deformargli i connotati e gli occhi accesi d’euforia.
    Da scarno e debole ragazzino che era stato, poche occasioni gli si erano presentate per poter dominare, per poter imporsi, imprigionando prima il proprio inconsapevole bersaglio e poi bombardandone la psiche. Per quanto la ragazza agitata sotto di lui non comparisse nemmeno nella sua lista di aguzzini, quella era l’occasione più dolce che gli fosse mai capitata.
    “Clara…la paura ti rende deliziosa.” La chiamò a bassa voce, rauco, quasi ringhiando, mentre faceva ruotare i polsi per torcerle le pesanti colline del petto ed abbeverarsi avidamente di quei guaiti di protesta che le suscitava, fino a che la schiena non le diede uno scatto brusco, inarcandosi verso l’alto come nel tentativo di dibattersi e liberarsi da quel tocco non voluto.
    “Sì, così…perdi il controllo. Disperati, animale che non sei altro.” Ridacchiò crudelmente tra sé, mentre le sue mani abbandonavano il loro appiglio per spostarsi più in basso, lascive e volutamente opprimenti sulla carne fresca di quei fianchi abbondanti ed accoglienti che tante volte gli avevano suscitato disprezzo…e invidia.
    Ora poteva disporne come desiderava, una volta messa da parte la sopravvalutata capacità di autodeterminazione di sé della sua cavia. Con una naturalezza che aveva dell’animalesco, la mano rachitica di Jonathan s’immerse senza troppi riguardi in una nuova morbidezza, oltre la stoffa dei cedevoli pantaloni da ginnastica, bollente e discreta nella sua reclusione ed intimità.
    “Che piccola creatura sordida che sei, Clara.” Commentò con un mezzo sospiro, appena si ritrovò con le dita contratte d’eccitazione umide d’un denso calore, i polpastrelli che premevano come una silente minaccia contro le pieghe di carne vellutata, tesa e fradicia, come fisse sul grilletto di una pistola. “La paura ti eccita a tal punto che ti bagni come una cagna in calore? Non lo ammetteresti mai da sveglia, piena come sei di tutta la tua banale bontà e del tuo ipocrita altruismo.”
    Sotto di lui, Clara prese a tremare e lacrimare ad occhi serrati, le cosce rigide come ciocchi di legno nel torpore dell’anestesia e patetiche proteste che si spandevano dal petto in fiamme, marchiato dai solchi delle mani sottili del ricercatore, proteste che nel suo incubo erano urla a squarciagola, urla inascoltate.
    Dall’altra parte, la cassa toracica del ragazzo si gonfiava con ogni respiro attraverso la camicia mezza sbottonata, il cuore ebbro di soddisfazione per quella vittoria che si dipanava di fronte ai suoi occhi.
    Mosse appena le falangi per aprirsi un varco in mezzo a quell’umidità tremante, puntando con ogni mezzo a sua disposizione a portare la sua cavia oltre, fino a gettarla in un nuovo abisso di follia, dall’incubo solo nella sua mente all’incubo nella realtà.
    “Non temere, mio sudicio amore. Non hai nulla da nascondermi. So perfettamente quanto ossessivamente cerchi di attirare l’attenzione, pur restando nelle retrovie. Hai il terrore di esporti, allora punti tutti i tuoi sforzi sul prossimo e godi dell’osservare i progressi altrui come la più amorale dei voyeur. Anche ora…buon Dio, Clara! Anche ora mi stai praticamente chiedendo di violentarti, di renderti spettatrice persino della tua stessa vita!”
    Clara s’inarcò ancora, le dita di mani e piedi arcuate per affondare nell’imbottitura del divano, questa volta con un sussulto tale da far tremare i cavi degli elettrodi e della flebo. Nell’incoscienza, il suo volto non era mai stato più bello agli occhi del mostro: pallido e schizzato di vermiglio in corrispondenza dei graffi che le rigavano le guance, le sottili palpebre stropicciate sopra i bulbi oculari ed ingombre di lacrime, le labbra porporine come se stesse morendo assiderata, piegate in una smorfia talmente straziante che per poco non gli mancò il respiro per la commozione e il basso ventre gli pulsò in maniera quasi dolorosa.
    Conosceva bene quella sensazione. Le dita tra le cosce della ragazza si tesero, mentre con un mezzo grugnito ed una mossa sbrigativa della mano libera, Crane si liberava parzialmente dell’ingombro dei calzoni, abbastanza da scoprire i magri lombi, l’inguine nervoso ed il membro rigonfio e sussultante. Con gli abiti così mal disposti sulla sua corporatura sottile ed ossuta e quell’ombra di crudeltà a trasfigurargli il volto, sembrava davvero uno spaventapasseri.
    S’ingobbì su Clara, finché non poté soffiare il proprio sibilo di sollievo tra le ciocche bronzee sparse sul cuscino e le mise la mano libera sul volto con crudeli e falsi intenti di rassicurazione.
    “Non te ne devi vergognare. Tutti hanno paura. Tu hai paura, eppure la ricerchi, ti ci butti incontro come per esorcizzarla, ne desideri la morsa eccitante come se fosse un afrodisiaco.”
    Lo spaventapasseri si voltò appena per poggiare un bacio sulla mascella tesa della cavia, così facendo inarcandosi ulteriormente per incombere su di lei malgrado la propria stazza minuta e sfregando involontariamente la propria eccitazione contro al fianco morbido di Clara, la sensazione della pelle tirata indietro ad esporre la carne turgida e sensibile al di sotto lo fece rabbrividire.
    Le dita si contrassero ancora e la trafissero d’improvviso, una, due, tre volte, una, due, tre dita per volta, fino ad annidarsi in profondità, immerse fino alle nocche. Con ogni spinta, il passaggio si faceva sempre più difficoltoso, i muscoli di Clara si tendevano e scuotevano per impedirgli di avanzare, mentre la ragazza singhiozzava e singultava in silenzio nel torpore, combattiva nonostante la disperazione.
    “Sarò il tuo incubo, Clara. Non ti preoccupare…hai solo da temere.” Lo spaventapasseri rise, prima di ritirare la mano calda e umidiccia di densi umori dall’intimo della ragazza ed approfittare di quell’odoroso lubrificante per trovare un po’ di sollievo per sé.
    Ormai l’esperimento aveva assunto nuovi connotati, il macchinario strillava secondo il ritmo del battito cardiaco impazzito della giovane, dandole una nuova voce, la sacca della flebo stava in equilibrio precario sul suo supporto, mentre non c’era più uno scienziato, uno studente, un ricercatore accanto al divano.
    Solo un mostruoso, grottesco, umano più che mai spaventapasseri.

    I fianchi ossuti pompavano lentamente fino a sbattere contro le dita chiuse a pugno, ogni mossa accompagnata da un sospiro e da un contenuto brivido elettrizzato, fino a che l’erezione non fu fin troppo rigida da poter maneggiare, gonfia, pulsante e smaniosa così come lo era il suo padrone, impiastricciata e gocciolante di secrezioni tra i ciuffi di pelo ramato. Lo spaventapasseri si morse il teso labbro inferiore, mentre quello superiore veniva investito dall’aria calda liberata con uno sbuffo dalle narici in un moto di frustrazione malcelata.
    C’era stato tempo a sufficienza per i preliminari, era ora di passare ad uno stadio più avanzato, entrare nel vivo della sperimentazione. Nella sua mente distorta, la sovrapposizione tra l’atto immondo e la conduzione dell’esperimento era più che plausibile, non esistevano doppi sensi od equivoci di sorta, tutto era uno.
    Fu più difficile del previsto liberare l’eccitazione dalla tiepida stretta rinfrancante della propria mano, ma gli fu sufficiente gettare uno sguardo al dolce viso reso mesto e sottomesso dal terrore per ritrovare la ferocia, fino a che nient’altro che il tetro desiderio di dominare gli rimase. Gli gonfiò il petto coperto di lentiggini, macilento e sudato e gli guidò le mani fino all’orlo di quei pantaloni attraverso i quali prima aveva osato solo infiltrarsi. Con una fretta dettata dalla furia, Crane li rimosse a strattoni convulsi, ormai talmente assorbito nelle proprie mire da notare a malapena gli scossoni che il corpo intorpidito della femmina gli offriva in risposta, reazioni ormai conclamate e verificate, di scarso interesse.
    Il tessuto sibilò contro la pelle increspata dai brividi fino a fluttuare a terra con un fruscio e poco altro come un’armatura di foglie e rametti, inefficace ed indolente in contrasto stridente con le membra vive ora lasciate scoperte ad un nuovo assalto. Con occhi di brace lo spaventapasseri esaminò la scena che gli si presentava: la precedente invasione aveva lasciato una traccia caotica su quella carne inquieta, come testimoniavano le strie rossastre che correvano lungo l’interno delle cosce piene ed il disordine in cui versavano le mutande, arrotolate contro l’inguine e stiracchiate sui fianchi, abbandonando ad una volgare esposizione un giardino di soffici riccioli castani e la piangente intimità che coronava, arrossata e quasi scintillante d’umidità attraverso il varco delle gambe dischiuse.
    La nuova visione lo galvanizzò e gli dipinse un ghigno tra il naso affilato ed il mento appuntito, prima che s’avventasse ad artigliate a rimuovere anche quell’ultimo baluardo diroccato. La stoffa dell’intimo non fu l’unica barriera a cedere, con evidente stupore dello spaventapasseri: malgrado la sua efficacia, l’anestetico non poté trattenere il grido improvviso che zampillò fuori dai polmoni della ragazza, come un rivolo d’acqua che si apra una strada attraverso la parete di una diga dismessa.
    Dopo un’iniziale attimo di sorpresa, una terrificante risata gorgogliò in gola al folle: finalmente la paura era scivolata fuori dal nido confortevole della mente della cavia per prendere forma nel mondo esterno. Poteva solo immaginare cosa sarebbe venuto dopo.
    Shock. Distacco dalla realtà. Propensione al condizionamento. In una parola, il trionfo di tutte le sue teorie.
    Come se l’urlo le avesse ripulito i polmoni costipati dal farmaco, anche i singhiozzi si fecero più chiari ed alti, ognuno di essi le mozzava il respiro e le faceva palpitare i muscoli, ormai ad un passo dallo strapparsi.
    “Oh, Clara…che ti lamenti a fare? Coraggio, ne avrai presi di ben più spaventosi. Che so, il bestione di Jones, o magari quello del tuo sagace amichetto Eddie. Oppure ti scambi i partner con le tue coinquiline? Non mi stupirebbe, considerato il covo di sciacquette che ti sei scelta come casa. Avanti, sei sempre così accogliente con tutti, non farti delle riserve proprio adesso… schifosa libertina.” La vezzeggiò crudelmente con tutte le malignità che la sua mente contorta aveva partorito nel corso di quei lunghi mesi trascorsi a fissarla e disprezzarla, nuovamente curvo su di lei per allargare il varco già presente ed insinuarvisi. La presa ebbe l’effetto di congelare per non più di un attimo il tremore incontrollabile, sovrapponendo uno sconvolgimento all’altro e trasformando il respiro in un annaspare convulso.
    L’attimo che gli serviva per tuffarsi a testa bassa nell’estasi, le ginocchia nodose pigiate contro il bordo del divano per sostenere tutto il proprio modesto peso e quei pilastri di cosce premuti contro i fianchi scarni. Non andò tutto liscio come si era immaginato, gli furono necessari più di un affondo e di un mugolio per poter trovare una posizione confortevole per sé, sia a causa della frenetica urgenza che gli impediva di mantenere il controllo, sia per la recalcitranza della ragazza sotto di lui, non più trattenuta dal solo anestetico.
    Ma alla fine, con uno sbuffo ed una spinta sofferta, lo spaventapasseri penetrò a fondo quell’agognato nucleo caldo di nervi, muscoli ed ormoni con il proprio legnoso arnese.
    Un altro grido squarciò la stanza, un’unica nota viva e squillante che non durò più di un prezioso secondo, nella quale il folle sentì invocato il proprio nome come in un’implorazione. Per un attimo, Jonathan temette che il cuore gli sarebbe scoppiato per l’intensità dell’atto e per il calore che gli invase la carne e si abbandonò in avanti, le mani convulsamente strette intorno alla vita ambrata di Clara, petto contro petto, volto contro volto, vita contro morte. Riconobbe l’affanno nei lineamenti della ragazza, il disagio, la speranza pronta a vacillare e frantumarsi, lasciando libero campo alla disperazione.
    Riconobbe il proprio affanno trionfante e ne volle ancora. Volle che quella sensazione appartenesse a lui e nessun altro.
    Uccise la risonanza del grido con un bacio vorace ed una nuova violenta spinta, poi un’altra ed un’altra ancora. Si nutrì di quelle urla direttamente dalle labbra della ragazza e gli parvero dolci come frutti maturi colti direttamente dall’albero. Eppure non era ancora abbastanza: martoriare il sesso e la psiche della ragazza era un atto delizioso, ma non ancora completamente appagante.
    Perché? Cosa non vedeva? Cosa non sentiva?
    Nuovamente preda della frustrazione, si sistemò in modo da spostare parte del proprio peso sui gomiti ed avambracci sottili, così facendo liberando dalla propria presa il torso di Clara, solo per tenerla immobilizzata tra il proprio corpo ed il divano. Non c’era luogo dove gli potesse sfuggire, né materiale né mentale, si disse lo spaventapasseri mentre trasformava il bacio in una trappola soffocante e rendeva il ritmo martellante e frenetico in risposta alla stretta muscolare, a tratti dolorosa e a tratti mozzafiato, del basso ventre femminile che si opponeva alla presenza di quell’odioso corpo esterno, pulsante ed aggressivo, fonte di dolore ed umiliazione intollerabile.
    Proprio da lì nasceva la meravigliosa paura che li aveva condotti a quel momento, eppure le sensazioni continuavano a giungergli incomplete in un continuo gioco perverso di provocazione, senza mai giungere al punto cruciale. In preda alla rabbia e all’esasperazione, Crane le morse il labbro, la montò ferocemente fino a spaccarsi i polmoni e quasi perdere la sensibilità ai fianchi, i muscoli lombari e i glutei irrigiditi dall’acido lattico, ma nulla. Era come se un interruttore difettoso controllasse gli stimoli che gli giungevano: a volte l’agghiacciante visione di quella giovane donna spogliata della propria volontà e costretta ad affrontare da sola la violenza di un mondo che la voleva schiava era chiara e lo spaventapasseri si poteva crogiolare della beatitudine che gliene derivava, altre invece l’incubo si faceva meno intenso, come se scomparisse dalla sua vista e si lasciasse alle spalle delle lacune di dati.
    Cosa mancava? Cos’altro doveva fare per ottenere lo spettro completo?
    Si prese un attimo di pausa e si sollevò sui gomiti, un rivolo di saliva a colargli da quello squarcio che chiamava bocca aperto in ansiti irregolari ed uno sguardo d’odio rivolto all’oggetto della sua violenza, ridotta a nient’altro che una massa singhiozzante e rovinata, tutta un gonfiore, ma non ancora tutta sua.
    “Dammi la tua paura, Clara! Non c’è posto dove tu ti possa nascondere, cedi e basta!!” finì quasi per urlare, anche se dalle corde vocali usurate dalla fatica non uscì altro che un ruvido gracchiare.
    Perché ancora non era lì con lui, a strisciare di fronte ai suoi occhi?
    Forse…Crane prese un respiro e sollevò lo sguardo invasato sull’ambiente circostante per la prima volta dopo quella che sembrava un’eternità. Là, sul tavolino da caffè, accanto al taccuino e alla penna, giaceva del materiale di riserva, un paio di siringhe usa e getta nuove e il suo vanto: il farmaco, scintillante come fuoco liquido nella sua boccetta, la porta tramite la quale aveva gettato la sua cavia nell’oblio.
    Forse…avrebbe potuto raggiungerla varcando quella stessa porta.
    Il proprio lampo di genio lo illuminò di nuova gioia e gli restituì parte delle forze perse con la frustrazione, la follia lo portò pure ad abbracciare per un attimo la sua vittima e baciarla appassionatamente con un fremito di gentilezza.
    “Perdonami se ti ho maltrattata, povera cara. Non è che non vuoi, ma non puoi uscire! Verrò io da te allora. Non ci vorrà molto, tu aspettami.”
    Con quest’ultimo sussurro, la trepidazione e la fretta mossero lo spaventapasseri ad abbandonare il tiepido rifugio strappato alla ragazza e a preparare una dose ridotta della formula con il cuore a mille. L’ago si fece strada nella giugulare gonfia sotto la pelle paonazza del collo senza troppi problemi e finalmente tutto fu completo.
    Rinato a nuova vita, lo spaventapasseri incombé sulla sua cavia.
    E Clara se lo vide dinanzi attraverso le palpebre serrate, una figura scheletrica e mortifera che si stagliava nell’oscurità.
     
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  2. Alexander Stregatto Magnus
     
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    Che dire: un piacevole miscuglio di terrore per uno degli atti più violenti possibili nella sfera sessuale, realizzato con sapiente maestria con l'utilizzo di uno dei personaggi più iconici della DC in una rivisitazione della sua infanzia e della nascita del personaggio che tanto ci ha fatto tremare per la sua geniale e terrificante follia.
    Spero proprio nella seconda parte, dato che questo, credo almeno, è il prologo per una serie di racconti che ci terranno con il fiato (ed altro) sospeso ^^
     
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  3. Miriii
     
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    È veramente troppo elaborato, provi a colpire il lettore con termini forbiti. Non nego che è una strategia furba, ma per chi se ne intende di racconti... beh è una presa in giro.
     
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2 replies since 19/9/2018, 16:24   333 views
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